sabato 28 giugno 2014

Trenitalia e il suo disagio


Ore 23.00, Stazione Cadorna, a Milano.

Il binario del treno, IntercityNotte, appare dieci minuti prima della partenza. Una mandria di persone probabilmente molto povere, data la sventurata scelta del treno, si aggira confusamente per la stazione, alla ricerca dei binari dal 14 in poi, apparentemente non pervenuti

Il primo fortunato diventa pastore del gregge, quando trova, forse per puro caso, una piccola indicazione ad segnalare la via. Da lì, il treno viene raggiunto in breve tempo, preceduto solo dalla sosta di pochi ingenui alle macchinette. Il viaggio durerà otto ore, forse di più, ed urge la presenza di cibo masticabile per lenire i morsi della fame che certamente arriveranno. 
Tra gli sfortunati, quella senza contanti inserisce la sua banconota da dieci euro nella macchinetta, la quale suggerisce piuttosto esplicitamente di non usare il bancomat per rifornirsi di nutrimento, che tanto dà il resto. 
La futura passeggera inserisce il codice del cibo scelto. Nulla accade.
Non ci sono pulsanti per farsi restituire i soldi.
Il treno sta partendo. 

Corsa verso il binario.
Il suo biglietto, pagato oltre 30€, adesso le è costato dieci euro in più. 

Sale sul treno, alla ricerca del proprio posto. Un'amica scopre il comfort delle cuccette, quelle dove ti forniscono l'acqua Fabia in piccoli contenitori larghi e bassi, formato ciotola di cane. Lei no.
Il suo posto è in una cabina classica, sei posti, porte chiuse, odore poco confortante a cui lei stessa, suo malgrado, contribuisce. Niente lamentele.
La luce è spenta, il treno parte, la cabina è già piena all'inizio del viaggio. Non appena l'Intercity prende velocità, il micro-finestrino in alto, l'unico apribile, si spalanca per qualche ironia della fisica che non approfondiremo. Lo chiude. Si riapre. Lo chiude. Sta per dormire. Si riapre. Lo richiude. 





Le ginocchia della sfortunata, quando seduta in posizione scomodamente eretta - quella che qualche sadico deve aver presunto che avrebbe potuto tenere per otto ore di viaggio - le sue ginocchia, insomma, si toccano con quelle dell'uomo di fronte a lei. Le piega a destra, manda avanti il sedere, ed il poggiatesta si scopre troppo alto. 
Deve scegliere tra il poggiare la testa e restare seduta impalata come le migliori zitelle o accasciarsi quel poco possibile, e rinunciare per sempre alle vertebre cervicali. 
Apre il piccolo tavolino 20x20cm, vi si appoggia. Uno scricchiolio. Meglio non rischiare. Il ginocchio poggia sotto il tavolino, per sorreggerlo, e scopre i residui di colle alimentari appiccicose di ignota provenienza. Foglio sotto il tavolino, ginocchio sul foglio. Sono passate due ore.
Alla terza ora, la borsa è sul tavolino, la testa è sulla borsa, il tavolino sul foglio, il ginocchio sotto il foglio, l'altro ginocchio allungato innaturalmente a sinistra, come il pezzo lungo del Tetris, tra le gambe di altri 5 sconosciuti nelle medesime condizioni. Si addormenta per sfinimento.
Altre due ore. Si sveglia. Il finestrino si è riaperto. Fa freddo, mette il cappuccio, la felpa sulle spalle, il golfino sulle ginocchia. La schiena duole e l'unico modo per dormire decentemente sarebbe sdraiarsi sul vicino di sedile, sicuramente non proprio disponibile allo scambio. Rinuncia. 
Dov'è Giovanni Muciaccia?



Immaginate la comodità di questo accrocco.

Mette la borsa sulla cima del sedile, tra questo e l'improbabile poggiatesta, vi si corica esausta, piegando le ginocchia in posizione fetale. Si sporcheranno i sedili, ma lì sono come bestie, e le bestie sporcano. Nessun senso di colpa verso le Ferrovie dello Stato.
Altre due ore di sonno. Non è ancora finita

Le ultime due ore di viaggio prima dell'arrivo a Roma trascorrono in uno stato di coma o svenimento, difficile distinguerli in queste condizioni, e l'unico motivo per cui riesce a non scendere a Salerno è che l'amica la sveglia in tempo. Arrivata.
Scende dal treno, le vertebre che nemmeno la torre di Pisa, il portafoglio vuoto, il sonno ai massimi storici, le ginocchia appiccicaticce ed il torcicollo incombente. 



Carro bestiame.
Immagine tratta da http://www.informarexresistere.fr/2011/07/15/freccia-rossa-%E2%80%98na-sega/

E' domenica, se lo ricorda solo ora. La domenica sulla Tiburtina passa un bus ogni 4 ore.
L'aspetta un chilometro a piedi, con il trolley e lo slalom tra topi, buchi, blatte e strani insetti marroni e molto grossi che cominciano a popolare i marciapiedi da qualche tempo.
Tuttavia il cielo è limpido, l'odore di merluzzo dei cassonetti sopportabile.
E' sola, lungo la strada, ci sono ancora dei tratti d'ombra, sopravviverà.


"Bentornata a casa"

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