domenica 30 marzo 2014

Dove nemmeno Giovanni Muciaccia può arrivare


Il motivo per cui l'articolo di oggi sarà simpatico come un maccherone usato per bere la Cocacola, è il cosiddetto fattore "porcaputtana oggi c'è l'ora legale".
L'ora legale, che qualcuno mi ha gentilmente suggerito essere stata introdotta volutamente la domenica - cosa che la mia memoria da organismo unicellulare non mi permette di accertare - è quella cosa che arriva puntualmente quell'unico giorno dell'anno in cui hai l'assoluta necessità di dormire almeno 12h di fila. E' scientificamente provato.

Comunque.
Ieri sera era il classico sabato in cui hai quell'importantissima festa programmata da settimane che si sovrappone all'ultimo momento con qualcos'altro di vitale importanza, in modo del tutto inaspettato. Alcuni ricercatori hanno appurato che sarà impossibile adempiere ad entrambi gli impegni, qualunque sia la sagace strategia adottata - clonazione compresa.
Per mia fortuna, quest'atroce fatalità che mi avrebbe impedito di seguire Matthew McConaughey in tv è diventata un peso leggero da tollerare nel momento esatto in cui ho realizzato che, non essendo in possesso di una televisione, il mio affezionatissimo Matthew non avrei potuto vederlo a prescindere. Un dettaglio che per qualche secondo gli slanci entusiastici e poi disillusi della mia indole bipolare mi avevano fatto dimenticare.



Ciao Maria. Lo senti l'odio intenso, cieco e profondo che ti ucciderà
nel sonno stanotte? Bene. Molto brava, Maria. 
(Scusate se non affronto il tema "Matthew McConaughey ad Amici", ma sono ancora afflitta da un dilemma troppo grande: esiste un motivo plausibile per cui lui avrebbe dovuto preferire Amici di Maria De Filippi(!!!) a casa della sottoscritta? ..quando avrò trovato una risposta a questa domanda magari ne riparleremo)


Fatto sta che ho avuto la grande idea di indossare delle scarpe con il tacco, sebbene il mio portamento non ne giovi più di tanto, data l'andatura a Tirannosaurus Rex che assumo solitamente. La cosa fondamentale da sottolineare è che quelle calzature non erano semplici scarpe con il tacco. Erano scarpe con la parte davanti "aperta". Scarpe con il buco davanti - è un termine poco tecnico, ma rende molto bene l'ambiguità freudiana della cosa.
Mi spiego meglio, per chi sia stato tanto fortunato da nascere con le perle tra le gambe e non avesse avuto il piacere di provare quest'ebbrezza.
Supporto visivo

In attesa che il trampolo raggiunga l'altezza di un bambino di cinque anni, probabilmente dunque in attesa di poter contemplare le aquile senza bisogno di scalare montagne, la donna ha dovuto ingegnarsi. Non contenta di doversi radere per tutta la vita quasi ogni centimetro del proprio corpo con relative sofferenze o crisi esistenziali. Non contenta di aver avuto in regalo da Madre Natura cinque giorni al mese di "fiumi di porpora" che nemmeno il film. Non contenta di dover sopportare prima il trauma della verginità e poi quello del parto. Non contenta dei chilometri di tacco che viene indotta a portare. Non contenta di aver passato centinaia di anni denigrata ed in rapporto di non-parità con l'uomo..o forse proprio per compensare la mancanza di questa sfortunata condizione che va via via scomparendo.. Insomma, non contenta di mostrare la sua tempra in tutte queste epiche battaglie che la vita le ha concesso, la Donna ha dovuto trovare un altro modo di punire se stessa. Ed è per questo che sono nate le scarpe con il tacco ed aperte in punta.


Facciamo un esercizio immaginativo per comprendere meglio.
Vi propongo un setting alla Giovanni Muciaccia, Art Attack.



Immaginate una donnetta alta un metro e sessanta. Una tipetta bassa, magari in forma, quindi niente chili di troppo, tutto al suo posto. Dovrebbe pesare circa una cinquantina di chili, arrotondando per difetto, giusto? Diciamo che pesa cinquanta chili.
Adesso immaginate una circonferenza con il diametro poco più grande di quello dei colli delle bottiglie. Fatto?
La parte più importante arriva ora. Prendete la donnetta di cinquanta chili ed infilatela nella circonferenza. Potete usare la forza bruta, tanto è un esercizio d'immaginazione, nessuno potrà arrestarvi - mi raccomando, lasciate le referenze nei vostri commenti.
Fatto? Ah, non entra? 
Strano!

Eppure vi assicuro che le donne continuano a provarci, ad entrare in quella fessurina della calzatura, che mette in mostra il loro alluce in modo così sexy. Ve l'ho detto, anche io non ho resistito.

Il punto è che se cinquanta chili di donna vengono spinti per gravità dentro un foro di tre centimetri di diametro in cui chiaramente non possono entrare, quei cinquanta chili cominciano a prendere insistentemente la forma della scarpa, e questo è più o meno quello che è successo a me e soprattutto ai miei poveri piedi ieri sera.

Morale?
Non importa quante volte i tuoi piedi abbiano assunto una strana forma a mecco d'anatra minacciando di diventare dei piccoli punteruoli. Non importa quanti santi tu abbia tirato giù la sera in cui hai indossato quelle scarpe, nè quanti chilometri ti sia fatta a piedi nudi sull'asfalto, da metà serata in poi. Non importa se i tuoi piedi sembrano quelli della Piccola Fiammiferaia poco prima dell'ultimo fiammifero, e sempre sembreranno tali.
Se sei una donna, quelle scarpe torneranno ai tuoi piedi. Di nuovo.
Il prossimo sabato.

sabato 29 marzo 2014

Come non perdere la dignità durante un trasloco


Questo pomeriggio ho terminato gli ultimi stralci di trasloco. Stralci che consistevano in una decina di viaggi su e giù per quattro piani di scale rigorosamente senza ascensore, carichi come i cammelli dei beduini egiziani. Niente di che, insomma.

Quando cominci a fare il trasloco, la tua mente costruisce una pianificazione approssimata di quante sedute psichiatriche e quanta fisioterapia dovrai affrontare, al suo compimento, ovviamente sottostimando il risultato in modo piuttosto notevole. Ma il vero problema dei traslochi è che quando hai svuotato quel grande scaffale colmo di libri, dvd, cd dei Blue e.."ommioddio, ma è Paolo Meneguzzi quello?", sei assolutamente convinta di essere a buon punto. Ne sei così convinta che, via via che sposti i libri del Battello a Vapore di quando avevi nove anni, i Cioè - ma perchè? - di quando ne avevi 16, i libri del Signore degli Anelli di quando ne avevi venti, mentre ti chiedi perchè mamma e papà ti abbiano fatta così acculturata - chili di libri negli scatoloni ti suggeriscono un interessante futuro a Recanati - ti fermi anche a frugare tra la roba.

Tra le varie cose che ti capita di trovare nascoste nei meandri di cassetti che non aprivi da tempo immemore, voglio ricordare una delle più raccapriccianti.


I cd masterizzati e comprati a 5€ dal marocchino 
di quando avevi tra i 13 e i 17 anni.

La vera tragedia di questi cd, è che nonostante siano passati oltre dieci anni, funzionano ancora tutti perfettamente, in barba a quel che dicono sulla loro normale durata, e decidere di buttarli non è sempre così facile. Finchè si tratta del cd di Nek (...) che ascoltavi negli anni '90, quando pensavi che le meches fossero trendy, che la parola trendy fosse trendy, e non ci fosse nulla di meglio di un ragazzo con i capelli a porcospino incazzato, le cose sembrano essere semplici. Anche il cd di Laura Pausini può finire nel cestino senza rimpianti, così come i vari Festival Bar, Lunapop, Jovanotti e compagnia. 



 


Ma poi arriva lui. Il primo cd dei Backstreet Boys, con la sua copertina stampata in inchiostro rosa, perchè ai tempi la tua stampante aveva finito il blu ed il giallo. Lui, l'immortale rappresentante di un'infanzia perduta - letteralmente, perduta - a sognare Nick Carter, con il suo taglio a scodella che ti fa chiedere come tu abbia fatto a non aver avuto bisogno degli occhiali fino a tarda età. Hai il disco tra le mani, nella tua mente riaffiorano i ricordi di quando avevi il tuo lettore cd all'ultimo grido ed ascoltavi almeno novanta volte al giorno le stesse tredici canzoni, e ti sembravano sempre più belle.. quando accade il peggio. 
La persona che ti sta aiutando a fare il trasloco - tua madre, o, nel peggiore dei casi, un tuo amico - intercetta l'oggetto incriminante, e ti pone inevitabilmente davanti ad un bivio esistenziale: mantenere la tua dignità gettando il tuo adorato Nick con il caro Filippo Neviani - Nek, per chi avesse la fortuna di non essere altrettanto informato - o perdere definitivamente tutto quel che è rimasto della decenza, e conservare gelosamente il cimelio?


Trovi quel vecchio poster e ringrazi Dio di averti dato,
dopo i vent'anni, un po' di gusto estetico

Ebbene, è qui che entra in gioco il talento maturato in anni di sfrenato collezionismo di qualunque possibile puttanata che i tuoi genitori non sono riusciti ad impedirti di tenere. 
Sorridi, guardi il tuo amico, fai una battuta tattica su come il trasloco faccia trovare cose davvero troppo datate, diventi improvvisamente simpatico ed accondiscendente che nemmeno gli animatori delle feste al McDonald's e poggi con finta indifferenza il cd il più lontano possibile dalle sue grinfie, promettendo di gettarlo. A questo punto proponi di fare merenda, ed infine cogli l'occasione per occultare l'occultabile in fondo ad uno scatolone, là, tra calzini e mutande. Là, dove la biancheria proteggerà il tuo insospettabile tesoro e nessuno oserà mettere mano. Giusto, magari sotto quella sporca.

Ecco fatto. Ancora una volta è filata liscia.
Ci rivediamo al prossimo trasloco, Nick.





venerdì 28 marzo 2014

La cioccolata dei poveri


Ho appena finito di vedere "Come farsi lasciare in 10 giorni" e mi dichiaro sconfitta: Matthew McConaughey è un genio. E' uno dei migliori attori in circolazione, e l'Oscar di quest'anno se l'è meritato davvero. Scusa Leo, ti vogliamo bene lo stesso.


Immagine presa dalla pagina "Un Oscar per Leonardo Di Caprio")

Le commedie romantiche sono la cioccolata di chi non può permettersi di ingrassare. Non che io senta la necessità di limitare le mie assunzioni di zuccheri, tutt'altro, ma mi sento di dare questo consiglio spassionato a tutte le donne con problemi di linea che hanno bisogno di drogarsi di qualche cosa. L'effetto collaterale dipende dalla persona. Nel mio caso, dopo i primi risultati a breve termine in cui affogo in quella piacevole sensazione di soffocare con un grosso marshmallow al cioccolato - una morte che potrebbe valere la pena - e relativi squittii nella scena in cui i due protagonisti finalmente capiscono di essere innamorati e si baciano, sopraggiunge la classica sensazione di vuoto esistenziale. Si sa, questo tipo di film regalano la piacevole speranza di vivere una storia che meriti di essere raccontata, ed al tempo stesso inducono le ragazze con i piedi per terra a sospirare deluse. Non solo la finzione è finzione, ma la realtà ha sempre un gusto del tutto diverso, e se ti stai drogando di commedie rosa, di sicuro non sei particolarmente ben disposta verso l'apprezzamento del concreto.
Mi spiego meglio: nessuno nega che una bella bistecca di manzo sia il cibo degli dei, ma chi potrebbe apprezzarla come si deve in un momento in cui desidera una cheesecake che trasuda marmellata di mirtilli? E' un piacere diverso, tutto qui.




Mi trovo quindi, adesso, in uno stato di sottile malinconia post storiabellissimaefelice, ed essendo anche un'ora di notte abbastanza tarda mi sento travolgere dai pensieri serali, quelli tristi, quelli dell'astinenza. La mente non va in nessun posto in particolare. Ho tutto quello che posso desiderare, ed ora come ora neppure un Matthew McConaughey mi renderebbe più serena - non è vero, DATEMELO SUBITO!! - eppure, adesso che nessun impegno mi chiama, a parte il sonno, il dramma dell'esistenzialismo mi coglie in pieno. E mi coglie impreparata. Al che, non posso che pormi qualche domanda su questo stato spiacevole.

Può, l'essere umano, convivere con se stesso serenamente, o è forse destinato a sentirsi sempre un passo indietro rispetto alle proprie aspettative di vita?

L'essenza del disagio è dentro di noi anche quando non ci sono reali problemi, oppure abbiamo inconsciamente problemi che nascondiamo a noi stessi?

La serenità è sempre accompagnata dal malessere, o, se c'è del malessere, è perchè si tratta di una serenità fittizia?


Ai posteri l'ardua sentenza. 
Me ne vado a dormire. 
Matthew, spero di sognarti. 
E che non suoni la sveglia proprio in quell'istante. 
Perchè accadrà proprio così. Succede sempre così.

Incontri ravvicinati del quinto tipo


Questa mattina ho avuto uno di quelli che mi piace definire "incontri ravvicinati del quinto tipo".

Sveglia da pochi minuti, con tutto ciò che questo comporta - leggasi: faccia da attrice in The Walking Dead, occhiaie stile Colorado - il fiume, s'intende - caccolette di granito negli occhi e solchi che nemmeno un campo da golf sulla faccia - mi avvio pigramente verso la cucina. Da lì provengono i chiari segni di presenza maschile, ovvero delle note particolarmente basse a metà tra le fusa di un gatto e il borbottio di un paziente con demenza aggravata. Il "quasi ragazzo" della mia coinquilina. O forse dovrei dire "quel gran figo del quasi ragazzo della mia coinquilina". 
Mi preparo psicologicamente alla figura di merda imminente e decido in qualche frazione di secondo da che parte dovrò guardare, non appena fatto il mio ingresso. Infine, metto in pratica il tutto, anelando il mio caffè più di quanto qualsiasi figo alto due metri possa spaventarmi. 

Ed accade.
"Buondì!" il mio saluto allegro, studiato per sembrare spontaneo e non rivelare i piani di fuga che ho elaborato finora.
"Buongiorno!" rispondono allegri entrambi. Guardo lei, una frazione di secondo, quanto basta per non sembrare un fantasma, e poi guardo lui, così, per cortesia, pregando che non ricambi lo sguardo. E invece si gira, e nel pronunciare quella singola parola sorride. Ma sorride di un sorriso che mi sembra di essere fotografata da un fortissimo flash, in tutta la mia attuale bruttezza. Un flash ad alte temperature, perchè riesco perfettamente a percepire la materia che mi compone sciogliersi sul pavimento. Passo da zombie a blob in meno di un secondo.
E' questione di un istante. 




Sento le trombe ed i cori degli angeli nelle orecchie, tutto s'illumina e la mia faccia assume la classica espressione da gatto davanti ad una scatola di cibo da mezzo chilo. Mi sento la protagonista di un film particolarmente trash, eppure ho bisogno di particolare concentrazione per levarmi dagli occhi le stelline e i cuoricini che cominciano a trasudare da ogni poro possibile.
Mioddio.

Quanta bellezza tutta insieme, in un solo sorriso.
Nella mia testa, il replay della scena continua per ore, e posso assicurarvi che sta continuando anche in questo momento. Anche adesso che ho dovuto fingermi una persona simpatica per qualche secondo, e tentare di comunicare con lui mentre cucinavo la pasta, sentendomi sempre più ritardata. 

La peculiarità dell'incontro ravvicinato del quinto tipo, è che la sensazione di sentirti un sacchettino di grotteschi aggettivi - tutti sinonimi di stupidità, incapacità e bruttezza - aumenta proporzionalmente alla bellezza del soggetto che si incontra.
Più il maschio è bello, più divento una povera bertuccia spelacchiata e dislessica, in poche parole.
La mia espressione, generalmente, diventa quella di una cernia. E vi lascio il supporto visivo, per rendere l'idea.



giovedì 27 marzo 2014

Perchè i parrucchieri sono malvagi


I parrucchieri. 
Premesso che credo di avere qualche tipo di ossessione verso i miei capelli, e che ho passato periodi più o meno lunghi in cui pensavo a come colorarli e tagliarli almeno cinque volte al giorno. Premesso che per due anni ho rinunciato al parrucchiere dopo aver passato, una volta, cinque ore - cinque, giuro - a farmi fare un lavoro che normalmente facevano in tre ore, solo per incompetenza o distrazione. Premesso che prima o poi bisogna comunque tornarci, se non si vuole che cresca un castoro sullo scalpo.
Premesso tutto questo, io odio, detesto, sospetto di qualunque essere vivente dichiari di aver frequentato un corso per parrucchieri e di avere da uno a duecento anni di esperienza nel campo. Li odio, in modo del tutto indiscriminato.

Ma cos'è che suscita questo odio viscerale verso questa fondamentale categoria?
Riflettiamoci insieme.




1. La decisione





Due settimane prima che la tua mente decida di concretizzare quel piccolo parto mentale che ti convince ad andare dal suddetto professionista, i tuoi capelli, un tempo ordinati e ben tagliati, hanno assunto la tipica forma a pelo di gatto incazzato. Ti svegli al mattino, ti guardi allo specchio e riconosci chiaramente la forma di uno yak - neppure nelle migliori condizioni - che si arrotola sulla tua testa apparentemente dotato di vita propria. Prendi la spazzola, cominci a strigliare la chioma, ma niente, lo yak è ancora lì. Allora prendi il phon, decidi di darti da fare con quello, e lo yak comincia a cambiare forma: d'improvviso ecco che una bellissima pecora non ancora tosata - ma tipo da qualche anno - compare tra le ciocche, e tu hai anche l'impressione d'aver sentito belare. Pessimo segno. Al che, prendi la piastra, indecisa se usare quella per capelli o quella per cucinare la carne, dato anche l'elemento ovino..ma ingenuamente decidi per la prima, dimenticando che l'odore, alla fine del trattamento, non dovrebbe essere quello di un toast. D'accordo, altro fallimento. Alla fine non resta che prendere un elastico e mettere fine a questo strazio. Rinunciare agli ultimi rimasugli di sex-appeal, che comunque attualmente sono a livello fattoria, ed arrendersi al pensiero a cui finora si è cercato di fuggire: bisognerà andare dal parrucchiere. 


2. La scelta del taglio


Una volta messa una mano sulla propria coscienza, è il momento di dare spazio alla fantasia. Già, cerchiamo di essere fiduciosi, di immaginare come un cambiamento potrebbe essere fonte di freschezza e novità nella nostra vita. Il taglio di capelli comincia ad assumere poteri magici, e d'improvviso ogni reclame, ogni rivista, ogni immagine di donna che scoviamo in giro diventa un'opportunità. Con quel colore potrei essere simpatica come Emma Stone. Con quel taglio avrei il fascino di Nicole Kidman. Con quello di sicuro all'università mi guarderebbero con occhio diverso. Insomma, la mente vola, senza riuscire davvero a dare un senso alla nostra faccia con in testa qualcosa che non sia un roditore.



Le più esperte provano con Photoshop: copincollano facce, cambiano colori, clonano frangette. Le meno esperte chiedono alle amiche, si legano i capelli, fissano lo specchio sperando che le raggiunga presto l'illuminazione. E poi, alla fine, dopo due settimane di rodaggio in cui sono state vagliate le possibilità più diverse, eccolo: il taglio perfetto. Taglio che, spesso, è identico a quello precedente perchè, si sa, vince sempre l'abitudine, ma ai nostri occhi è sicuramente "L'Eletto", che ci accompagnerà per qualche settimana rendendoci le protagoniste di uno di quei film in cui recita Jennifer Aniston. Commedia rosa per noi. Ma certo.


3. La spiegazione al parrucchiere


Il momento critico arriva non appena ti siedi sulla sedia del parrucchiere. Lo specchio davanti a te riflette l'immagine di una che non si è lavata i capelli per una settimana, sapendo che sarebbe stato vano, dati i venticinque shampoo a cui normalmente si viene sottoposti qui, ed il cuore è in modalità "creditore incazzato alla porta di casa tua", ricordandoti che sei ancora in tempo per la fuga. Ma no, il piccione investito che hai in testa ci impedisce di rimandare. Ed ecco, il parrucchiere si avvicina e chiede se hai già qualche idea su che cosa fare. Se sei fortunata, non hai nemmeno avuto bisogno di stampare la foto: sfoderi il cellulare e mostri la testa perfetta di una qualche modella a cui non assomiglierai mai, che è l'attuale e - secondo te - chiarissimo target. Nulla di più semplice del copiare, pensi, no? NO. Ma comunque, se sei sfortunata - e normalmente lo sei - non avrai trovato alcun supporto visivo per guidare la mente diabolica del professionista, nè un laureato in mediazione linguistica che possa tradurgli le tue idee in modo comprensibile. Ed ecco quindi che ha inizio la tipica danza del cliente sordomuto. La danza in questione consiste in una serie di gesti di diversa natura, spesso non dissimili a quelli che i primati usano per spulciarsi tra di loro, che vorrebbero trasmettere al parrucchiere la propria idea di taglio. Seguono lunghe filippiche sulla sfumatura giusta di colore, dove il rosso non è mai solo "rosso", ma diventa "color paprika" o "color rubino invecchiato" o "color rosso veneziano tendente al sangria ma più scuro". Tutta questa serie di sforzi, che sottintendono che il professionista abbia sulle spalle un carico d'esperienza tale da saperne fare buon uso, si conclude, naturalmente, come si concludono le conversazioni tra me e il mio criceto. E non c'è bisogno di specificare oltre, insomma.






4. Il grande momento


Lui stende la tinta, che ad occhio ti sembra sia arancione, e per nulla rossa come avevi chiesto, ma vuoi fidarti: è il suo lavoro, chi sei tu per dirgli che quella tinta non è come la volevi? Tanto bisogna aspettare che siano asciutti per dirlo, questo ti rispondono se provi timidamente a fargli notare la cosa. Quindi, pur con un enorme e spaventoso presentimento, lo lasci fare. Aspetti quaranta minuti leggendo squallide riviste di gossip o, se sei in un salone chic, qualche libro giallo di quelli che non hai mai nemmeno provato a leggere, ma che tua nonna per qualche motivo adora, e poi finalmente risciacquo. Lui ti fa sedere con il collo appoggiato ad uno di quei malefici lavandini del demonio, ti chiede di rilassarti ed apre l'acqua, ma solo dopo che tu hai assunto la classica posizione da mangusta con forti dolori alla cervicale, collo ad arco, leggermente sollevato e ad alto rischio di colpo della strega. "Dimmi se l'acqua è troppo calda" ..il tuo gridolino d'aiuto conferma che sì, forse l'acqua è un po' troppo vicina alla temperatura di ebollizione. Ergo, un getto di acqua gelida che nemmeno i tubi per lavare la macchina raggiunge la tua nuca, congelandoti all'istante nella suddetta posizione, ovviamente senza per questo rendere più semplice mantenerla. Dopo interminabili minuti in cui non ti resta che contare gli shampoo ed i balsami ed i nonsisabenechecosasiano che ti mettono sulla testa in un momento in cui tu vorresti solo poter rimettere il collo in una posizione umana, finalmente vieni portata sul trono che cambierà la tua vita. Qualcosa brilla alle tue spalle, tra le sue mani. Un enorme paio di forbici emettono un certo rumore metallico che in questo momento assomiglia un po' troppo ad una coltellata nella schiena, qualcosa come un omicidio passionale che si consuma contro di te, mentalmente molto doloroso ma pieno di speranze, come un cristiano che muore convinto che il paradiso esista. Insomma, pensi ancora che sia un sacrificio che vale la pena. 


5. Grazie e alla prossima


E poi ecco. Sollevi lo sguardo, distratta da quei pensieri, e te ne accorgi. Dove sono i tuoi capelli? Non gli avevi chiesto una spuntatina? Un paio di centimetri, così, per levare le doppie punte? Dove sono i tuoi meravigliosi capelli di fieno ispido, di cui solo ora ti accorgi di essere stata orgogliosa? E perchè, a vederli asciutti, ora, hai l'impressione di avere in testa un porcellino d'india? 




D'accordo, calma e sangue freddo. Sei stata una stupida. Per qualche minuto hai dimenticato di quante volte il parrucchiere abbia distrutto implacabilmente tutti i tuoi sogni e stracciato le tue aspirazioni, ma ora lo ricordi bene, e quel senso di odio che ti nasce nello stomaco è così familiare da rassicurarti. Per fortuna con esso c'è anche la consapevolezza più consolante: ricresceranno. Ed esistono le tinte del supermercato, grazie a dio. Ti alzi lentamente, poco dopo la fine degli ultimi ritocchi, e fissi lo specchio davanti a te costringendo le tue labbra ad una delle loro migliori performance recitative, perchè il parrucchiere non deve assolutamente sapere quanto ti faccia schifo il suo lavoro. Meglio evitare che si proponga di rimetterci le mani. Di nuovo. E poi la fatidica domanda di lui? "Che ne pensi? Ti piace?"..il tuo Es comincia a sputare veleno che nemmeno il drago della Bella Addormentata, vomiti insulti dagli occhi e cerchi nelle tasche della giacca il fucile a pompa che, sfortunatamente, devi aver lasciato a casa. Ma alla fine fai come tutte le altre volte, ti arrendi. Sorridi ed annuisci. "Sì, è molto carino. Certo, devo ancora abituarmici ma..mi piace". Dunque ecco, cerchi il suo sguardo in modo fuggevole, cerchi i soldi nel portafoglio ed aspetti che lui ti comunichi il prezzo di quello scempio. Novanta euro. NOVANTA EURO? Il sorriso si congela, ma si fa inspiegabilmente più ampio, ancora più convincente, degno del miglior Jack Nicholson. Qualcosa che ricorda Shining, ma solo agli appassionati del genere. Consegni i soldi senza fiatare, e magari borbotti anche un "ah, beh dai, pensavo peggio", quindi ti avvii all'uscita, cominciando a riflettere su cosa puoi fare per rimediare a quest'oscenità. Lui ti guarda, pacato, sorridente, ma godendo intimamente di quanto messo in atto, e sfacciato come non mai, vedendoti allontanarti come una ladra con un barboncino in testa, probabilmente morto, ti saluta sornione: "grazie, e alla prossima!"
E forse sì. Il bastardo ha ragione. Alla prossima.






mercoledì 26 marzo 2014

Niente più CDM [Coinquilino di Merda] con il bagno privato


Recentemente ho dovuto trasferirmi in un nuovo appartamento, ed affrontare le infinite "gioie" del trasloco. Per questo motivo non di rado mi capita di riflettere sulla mia nuova condizione di inquilina in una stanza singola, all'interno di un appartamento condiviso con un'altra persona, e soppesarne i vari aspetti.

Questa sera sono tornata a casa distrutta e la mia voglia di socializzare era piuttosto bassa, come d'altronde lo è stata per la maggior parte del tempo della mia vita. Ciò nonostante, al mio arrivo non c'era peggior pensiero che quello di mettermi a cucinare, specie vista l'ampia scelta che proponeva il mio frigo - ero assente da circa una settimana, e già sette giorni fa avrei dovuto rimpolparlo con qualcosa di commestibile che non fossero rimasugli di sughi pronti. Insomma, in questa occasione mi si è manifestato uno degli aspetti positivi della convivenza: la generosità del coinquilino - se sei fortunata, s'intende. La ragazza, gentile, carina, simpatica e, appunto, generosa, mi ha offerto di mangiare della pasta con lei ed i suoi amici, al modico prezzo della mia presenza lì con loro durante la cottura. Incredibilmente piacevole, se si pensa che prima d'ora non ho mai avuto modo di apprezzare in nessun modo certe situazioni.




D'altra parte, in questa nuova casa ho il privilegio di apprezzare qualcosa a cui normalmente chi convive non ha accesso: il bagno privato. Il leggendario, eppure incredibilmente esistente -qui , bagno solo per me.


Analizziamo gli aspetti più importanti di questo importante componente della vita di uno studente:

1) Nessuno verrà a lamentarsi con te di essersi preso la cistite perchè non hai pulito il bagno - l'esperienza insegna che c'è sempre un ipocondriaco rancoroso pronto a contare quante volte hai pulito la tazza del cesso in relazione ai suoi dolori alla vescica, per quanto questa sia predisposta alle irritazioni.

2) Fare la cacca potrà tornare ad essere un rituale, come quando da bambini non ce ne andavamo dal bagno fino alla fine di quella storia di Topolino. L'ultimo libro che ho letto l'ho consumato sul cesso. Ho imparato moltissime cose, eh. Tutta cultura.

3) Non dovrai più trovare una spiegazione psicologica plausibile sul perchè il tuo coinquilino abbia l'abitudine di pisciare nel lavandino. E lasciare il laghetto sul bordo. Sempre. Non è storpio. Non va di fretta. Non soffre di mal di schiena. Non ti odia - forse. Sicuramente Freud avrebbe avuto una spiegazione migliore.

4) Sai esattamente chi ha finito la carta igenica senza riprenderla. TU. Chi non ha tirato l'acqua nonostante ci fosse un profumatissimo ricordino dentro - fatti di purissima fantasia, eh. TU. Chi ha sputato il dentifricio sanguinolento nel lavandino ed ha lasciato che si fondesse con la ceramica. TU. Chi si è fatto i peli e non ha risciacquato la doccia. TU. Si imparano moltissime cose così, tra cui imparare a convivere con i tuoi ritardi mentali e disturbi casalinghi senza alcuna possibilità di giustificazione.

5) Puoi farti una doccia a qualsiasi ora del giorno, a prescindere dalla vita sociale del coinquilino, da quante volte a settimana si fa la ceretta e quanto forte gli stia scappando.


6) E soprattutto, puoi farla in qualsiasi posizione ti vada di farla. Sì, anche nel lavandino.


Niente più divieti, nel TUO bagno!

Deodoranti da uomo e le mucche cospiratrici


Ed eccoci qui. Il primo post di questo blog, che comincia in una stanca sera di inizio primavera, con un sottofondo di piacevole istigazione al suicidio - grazie Lana Del Rey, le tue canzoni sono sempre un piacevole inno alla vita.

Devo ancora decidere che cosa sia questo blog di preciso. Devo ancora decidere se continuerò ad aggiornarlo o farà la fine delle altre decine di blog che ho aperto e chiuso a distanza di una manciata di post, ma voglio essere fiduciosa. Perchè non esserlo? E' un nuovo inizio!

Ci sono state diverse cose che mi hanno spinta a cominciare a scrivere qualcosa proprio questa sera, e la prima fra tutte è un'importantissima questione di naso: ho usato il deodorante di mio padre, costretta dalle circostanze particolarmente sfavorevoli - le stesse che mi hanno indotta a far crescere una piantagione di baobab geneticamente modificati sotto le mie ascelle, ovvero: non ero a casa mia, ergo niente rasoi, niente deodoranti, niente un sacco di cose. 
Premetto che si trattava di uno di quei deodoranti ad aria compressa, che per principio mi angosciano, e per un ottimo motivo: la mia prima esperienza fu disastrosa. Una nuvola di spuma per i ricci che continuava a gonfiarsi sul palmo della mia mano e sui miei capelli, roba che, a saperlo in anticipo, non mi sarei fatta lo shampoo. E poi il rumore. Mi mette ansia, con quel suo sibilo maligno, mi ricorda che sto maneggiando qualcosa di pericolosissimo per l'ambiente, quasi come le emissioni di gas delle mucche - che, ormai lo sanno tutti, sono le vere responsabili del buco nell'ozono. 

Immagine delle mucche inquinanti
Guardatele, che aria da distruttrici di pianeti!
Ora si capisce che i vegetariani sono dei cospiratori, eh sì.

Ma insomma, ho messo questo deodorante che già in principio si presentava malissimo, con il suo color argento-mammamiaquantomisentomaschio e le sue scritte in sans-serif-micacazzi, fosse mai che ti diano del finocchio perchè hai il deodorante bianco in Corsivo, magari con la scritta violetta. Dopo una prima sensazione di congelamento dei linfonodi, da ringraziare che sia primavera, perchè non sarebbe stato il momento di giocare a palle di neve sotto l'ascella, mi arriva alle narici quell'odore. Un odore a metà tra l'olezzo alcolico, la menta, un deodorante per ambienti - scaduto - e il "cazzo, forse prima di metterci il deodorante avrei dovuto lavarla". Eppure vi assicuro che mi ero lavata eccome. 

Google: "Deodorante uomo" -> deodoranti da uomo, forma allungata, colore nero grigio
Google: "Deodorante donna" -> ascelle. Perchè?


Ma sì, come si dice a Roma, "l'uomo vero ha da puzzà", ed è proprio su questo motto che credo abbiano lavorato le aziende produttrici di quella roba. Tutto regolare. 
Fatto sta che adesso, che davvero non mi lavo da stamattina, dopo aver affrontato un'intera giornata in giro, mi raggiunge questo olezzo che, come avrei dovuto aspettarmi, si è mescolato all'odore di muschio che avrebbe altrimenti capeggiato da quelle parti, restituendo una nuova fragranza degna d'un Arbre Magique. Fragranza che consiglierei agli omonimi produttori. Tanto ormai li fanno anche al gusto "Racing" e al gusto "Jeans", qualunque cosa siano, non vedo perchè non tentare.