lunedì 12 maggio 2014

Il mattino ha l'odio in bocca


L'infiltrazione è sempre più grande. Dalla macchia nera a forma di omino di profilo, in una notte ha raggiunto l'altro lato della cucina ed è bastato un solo giorno perchè cominciasse a piovere in tutto quanto di commestibile si trovasse al di sotto. 
L'odore è a metà tra quello di chiuso, quello di sauna e la muffa più bieca, impregna le pareti, impregna il corridoio, comincio a sentirne qualche avvisaglia persino dalla mia camera. Se guardo bene c'è anche una crepa, lassù, una di quelle che preannunciano la tua morte per soffocamento sotto le macerie di un tetto che non ce l'ha fatta. Bisogna fare qualcosa, ed il prima possibile.

Vado al piano di sopra, dove ho già lasciato tutta una serie di foglietti in ordine di minaccia, dai più sanguinosi, diretti ai precedenti proprietari, ai più carini, diretti al signore in giacca e cravatta, non più che trentenne, che si è gentilmente preoccupato di assicurarmi che il problema verrà presto risolto. Ecco, è proprio lui che cerco, e sollecito il tutto nella speranza di poter fare un'insalata senza condirla con acqua di tubature rotte filtrata dal soffitto. Lui sorride, è gentile. Domani arriveranno gli operai. Si risolverà tutto.



***



Arriva un nuovo mattino, ma non me ne accorgo dal cinguettio dei passerotti nè dal dolce filtrare del sole attraverso le tende. A svegliarmi è una sinfonia ben più significativa: forti, brutali martellate contro il muro della cucina - ma sono quasi sicura che stiano facendo un tunnel per entrare nella mia camera - condite con trapanate altrettanto soavi e continue. L'Inferno. 

Apro lentamente gli occhi della coscienza, solo quelli, mentre gli altri rimangono, tutti rinsecchiti, incollati alle palpebre. Le orecchie lentamente connettono con il cervello e realizzo: gli operai. Dunque trapano, martello, e voci. Voci di almeno cinque persone, e questo mi suggerisce di essere appena entrata nel mio peggiore incubo. Sconosciuti in casa mia. Alle otto di mattina. Caos. Io che non posso dormire.. d'accordo, decido lentamente, con un grandissimo sforzo, che è il momento di alzarmi. E' allora che ricevo la conferma che temevo: non c'è acqua.

Adesso, mi direte, che non ci sia acqua può non essere un grande problema. Non tirerai lo sciacquone per un po'. Non potrai lavarti i denti. Non potrai farti la doccia. Tutte cose che potresti rimandare in tutta tranquillità. Ma vi invito ad una riflessione che vi farà comprendere il vero DRAMMA della cosa. 
Sono le otto del mattino. La cucina è infestata da gente di provenienza sconosciuta. Ci sono trapani e martelli che tentano di entrarti in camera. Non puoi dormire, quindi devi svegliarti. E non hai l'acqua per farti il caffè.



" ..Il caffè! "


L'eco della mia voce interiore grida, straziante, quest'unica parola, con tanto di articolo determinativo che fissa l'oggetto perduto come un santino in cima alla porta d'ingresso della casa di una nonna. Non è caffè. Non è un caffè. E' IL caffè. O meglio, non è, perchè non è qui. Non puoi averlo e no, nemmeno la vana speranza di una flebo di caffeina sembra risollevarti il morale. Non c'è acqua nemmeno per la flebo, capite.

Chiudo di nuovo gli occhi, decisa ad immaginare che le martellate siano l'innovativa ninnananna di un percussionista contemporaneo ed incredibilmente il sonno ha la meglio: raggiungo il mio scopo per dieci minuti, prima di rendermi conto che si è trattato solo di una pausa tra una trapanata e l'altra. Subisco un secondo trauma di risveglio, simile al primo ma più consapevole. Mi dico che a breve qualcuna di quelle persone se ne andrà, che presto potrò andare in bagno senza che il mondo mi veda in piagiama a pois, con le treccine del giorno prima e l'aria da comparsa in The Walking Dead, ovviamente un'Errante, ed alla fine effettivamente qualcuno trova di meglio da fare che restare qui ad ammirare la mia meravigliosa infiltrazione.



***





Ad un certo punto, bussano alla porta: la zia della mia coinquilina, nonchè proprietaria dell'immobile, si addentra nella caverna fucsia che è la mia camera, ed io mi costringo ad assumere la dignitosa espressione di chi non è per niente infastidito dal suo ingresso, nonostante avverta chiaramente tuoni e fulmini alle mie spalle, altezza scapole, che sventolano in procinto di metter su una catastrofe naturale. Ma no, sorrido, mi presento, mi scuso per essere stata l'ameba inutile e dormiente che non si è fatta vedere per tutta la mattina - chiaramente l'avrei fatto a prescindere, le mie scuse sono unicamente di cortesia - e lei mi spiega perchè abbia bussato. La stanza, che un tempo era sua, contiene nell'armadio alcune lenzuola e coperte che vorrebbe riprendersi. La fisso per un paio di secondi, costringo i muscoli del viso a restare immobili, per fortuna già intorpiditi dal sonno e dalla mancanza di caffeina, ed annuisco. Certo, signora, quando vuole. 
E non appena la signora esce, mi arrendo e mi rassegno al mio triste destino, indotta ad una certa fretta dalle coperte assolutamente non mie che sbucano da sotto la trapunta e che ho molto serenamente sfruttato, notando che non ne avevo di mie da utilizzare. 

Ed ora sono qui, mai completamente sveglia ma neppure sonnambula. Contemplo con aria triste la rincuorante solitudine della mia stanza ed ogni tanto la tentazione di calarmi dalla finestra mi coglie all'improvviso, facendomi provare il brivido dell'avventura ma soprattutto il desiderio di fuga che non riesco a scrollarmi di dosso. Sogno malinconicamente il mio caffè, quello che non potrò bere, sospiro e poi comprendo: forse l'insalata condita con acqua d'infiltrazione non era poi così male come pensavo.

2 commenti:

  1. domanda: perché non hai colto l'occasione per andare a farti una bella colazione al bar? :-D

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  2. Ottima domanda.. a dirla tutta ci ho anche pensato, ma il pensiero di dovermi vestire e preparare e passare in mezzo a quelle persone di prima mattina mi ha inibita fino all'ora di pranzo. Mea culpa, avrei davvero dovuto uscire ._.

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