lunedì 28 aprile 2014

L'eredità del nerd redento


C'è un po' d'ironia di fondo nelle scelte del destino o delle coincidenze. C'è quel giorno lì, che hai voglia di vedere la solita persona dietro cui sbavi copiosamente da oltre un mese, e che stalkeri ogni istante, sperando che si ricordi di mandarti qualche messaggio su Whatsapp, così, per grazia ricevuta. E quello stesso giorno la persona, friendzonandoti non per la prima, ma per l'ennesima volta, accetta di uscire, sì, e ti chiede di domandare a tutti gli altri del gruppo di accodarsi, disgraziatamente, a quella che speravi sarebbe stata un'uscita potenzialmente di coppia (ma senza coppie, eh). 
L'ironia vuole che tutti abbiano di meglio da fare e che la tal persona non sia più nelle condizioni di inventarsi un'improvviso attacco di dissenteria per evitare di uscire sola con te, motivo per cui alla fine vi ritrovate esattamente come speravi: da sole, in un pub con le luci basse, a parlare di tutto e di niente, con strane birre artigianali che non comprendi ma che la persona, al contrario conosce a menadito. Così, per sottolineare quanto siate simili in tutto e per tutto.
La sua sola esistenza e compagnia placa i brutti pensieri. Un po' ci speri, che la serata non finisca con un bacio sulla guancia e un "ciaociao" sventolato con la mano, ma è davvero così rilevante, come finirà?
Stai bene, questa persona non sembra in difficoltà, in tua presenza, e tu non avverti particolari muri che si frappongono tra voi e la vostra capacità di conversare. Va tutto bene, bevete a iosa, non si risparmia una birra in più e nonostante tutto riesci a non vomitarle sulle scarpe, anche se le espressioni, dopo la seconda birra artigianale, cominciano a sembrarti faticosissime ed impegnative.

Propone di mangiare qualcosa. Non sta scappando! Evidentemente la persona X non ha tutta questa voglia di andarsene, e questo è bene. 



Siete lì, che parlate da ore, e l'avete già fatto anche due giorni fa. Parlato per ore, e ancora parlato e camminato insieme, senza la fretta di rintanarsi altrove. Ma mettetevi nei miei panni. Ho passato anni ad evitare la vita sociale vera e propria. Per anni tutto quello che dovevo dedurre del comportamento umano - sì, signori, questi sono i laureati in psicologia che un giorno cureranno le vostre nevrosi - era prima filtrato dallo schermo di un computer. Ogni parola, ogni suono, pensiero, idea, ogni persona diventava bidimensionale. Il suo interesse diventava piatto come le figure che la ragazzina di terza media a cui faccio ripetizioni dovrebbe sapere ma non sa

L'interesse piatto è quello che si può disegnare su una linea retta. Si misura con la frequenza di contatti online, con il numero di faccine o cuoricini o domande preoccupate. E si esprime nello stesso modo.
Il mondo bidimensionale dei social network e quello delle chat, a cui ho dedicato gran parte dei miei ultimi anni, è un mondo facile. Un mondo dove non bisogna fare enormi salti pindarci, grandi interpretazioni, in cui non bisogna guardare l'altra persona negli occhi per capire che cosa stia pensando. E' davvero rilevante cosa sta pensando? Tutto è scritto lì, è leggibile, rileggibile..lo puoi leggere centinaia di volte, finchè le parole "ti voglio bene" non assumono un significato più profondo di quello che effettivamente esprimono. 
Le relazioni online spesso nascono in fretta e sono più intense di quelle faccia a faccia. Nella relazione online scrivere di un sentimento è come provare un sentimento, e mi accorgo solo ora, dopo anni ed anni, di come le due cose si confondano, il loro limite diventi labile abbastanza da farti dimenticare cosa significa esprimere interesse in modo diverso. 




Non voglio assolutamente sminuire l'importanza delle relazioni online, che sono forse una rassicurante gabbietta da cui tendere la mano e lasciarsi accarezzare senza timore di essere portati via dagli eventi. Chi prova amore o rabbia o tristezza per eventi e relazioni nate e cresciute su internet, prova emozioni reali. Tangibili. Le sente davvero addosso, e le condivide come può, esprimendole su uno schermo. Non c'è nulla di male. C'è chi si esprime nella musica, chi nella pittura, chi nel silenzio, chi negli sguardi, chi nella scrittura. 
E' però spesso al pari di un piccolo volatile in gabbia. Malaticcio o timoroso, che non ricorda come si possa volare. Fuori dalla gabbia morirebbe e lo sa, per questo sta bene dove si trova e non ha bisogno del mondo. 
Io sono stata così, e sono stata molto bene. Con il tempo ho capito di aver sprecato anni della mia vita, ma se non avessi "sprecato" quegli anni, avrei ancora la mia ala rotta e non avrei mai potuto fare la cornacchia in giro, svolazzando come i migliori piccioni.




Tutto questo per dire che io e la persona X passiamo una tranquillissima serata insieme e poi ci lasciamo alle quattro del mattino, io rischio di morire per prendere l'autobus correndo sotto la pioggia con i tacchi - caviglia a rischio slogatura ma no, è andato tutto bene - e arrivata a casa non vedo l'ora di dormire. Dio, ci siamo appena dette ciaociao, e mi arriva un messaggio in cui mi chiede se sono arrivata viva a casa. 
Vi giuro, pulciazze mie, ho passato l'intero percorso birreria-casa a convincermi ad alta voce, come i vecchi, che da parte sua non ci fosse alcun interesse. Mi sono detta che persino io non sentivo qualcosa di sentimentale ma solo una sincera curiosità nei suoi confronti. Non scatta niente. Non ci guardiamo nemmeno negli occhi a lungo. I segnali, quelli che con internet non ho mai avuto bisogno di interpretare, suggeriscono chiaramente indifferenza. Ma poi quel messaggio. Dannazione, anni e anni in cui qualunque messaggio di troppo era palese, chiaro e condiviso interesse pseudo-romantico hanno lasciato il loro segno sulla mia pelle.
Come faccio a ricordare davvero che nel mondo tridimensionale in cui viviamo, pensare agli altri non è un'eccezione? Che sentirsi ogni giorno, vedersi spesso, passare ore a parlare senza voler andare via, e messaggiarsi di nuovo, subito dopo, non significa altro che una potenziale bella amicizia in avvio?
Ma ci credo davvero?
E' davvero così?

Questa è la mia eredità nerd. L'incapacità completa di capire che diavolo gli altri stiano pensando.

ARGH.

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