giovedì 10 aprile 2014

Non abbiamo bisogno di superpoteri


L'infanzia e l'adolescenza sono due cose che da adulto ricordi sempre con affetto, o così dicono. E che vuoi o non vuoi ti hanno lasciato un'eredità ingente, i cosiddetti "bug" della tua vita. I "bug", che in gergo informatico sono degli errori in un programma, sono quei modi di fare assolutamente anti-evolutivi che, pur riconosciuti, continuiamo ad avere nonostante li usassimo senza successo alle medie o al liceo.


- I superpoteri Disney

Ricordiamo tutti di aver avuto, ormai decenni fa, una cotta pazzesca per qualcuno che non conoscevamo neppure. Nella nostra mente ingenua, questa persona veniva divinizzata al punto da assumere tutta una sua personalità che ovviamente non aveva il minimo riscontro concreto con quella reale. Tizio diventava il primo pensiero appena sveglia, l'ultimo prima di andare a dormire, ed anche il pensiero del pranzo e della cena, della merenda, della colazione, di ogni inizio e fine ora di scuola, di ricreazione, di ogni secondo. Essendo, dunque, onnipresente - per quanto assente - nella nostra vita, è per merito di questa persona che abbiamo sperato di essere in possesso di un superpotere: far innamorare qualcuno con lo sguardo.
Memori di un lungo passato di film Disney, che per quanto sessisti - o così dicono - difendiamo a spada tratta anche adesso, a distanza di anni ed anni, ci siamo convinti che se l'amore deve sbocciare, sboccerà a prescindere. Il che si traduceva, a quei tempi, con la convinzione assolutistica per cui, fissando qualcuno il più a lungo possibile e seguendolo nel modo più stalker che si possa immaginare, questi si sarebbe perdutamente innamorato di noi, dichiarandoci il suo amore nei momenti più improbabili.





Ricordo con orrore una visita al planetario. Spenta la luce immaginai che questa povera vittima delle mie ossessioni, allora dodicenne come me, assumesse la personalità di Richard Gere nei peggiori film romantici, si alzasse e mi baciasse sulla bocca - aspirazione massima per l'epoca, sempre grazie ai film della Disney. Ovviamente ora le massime aspirazioni saranno cambiate ma, se così fosse, non voglio sapere, grazie.
Non accadde nulla di simile, nè sarebbe mai potuto accadere, dal momento che non ci eravamo mai scambiati una sola parola.
La verità è che prima della Principessa e il Ranocchio, che ho guardato solo qualche giorno fa, ho sempre aspettato che fosse il principe ad occuparsi della trama della mia vita, e così, negli anni adolescenziali che ho trascorso con questa convinzione, ho scoperto che il mio vero superpotere era un altro: l'invisibilità.







- Il gruppo dei diversi

Se c'è una cosa che l'adolescenza e l'infanzia influenzano in molto più che i primi quindici anni della tua vita, è decisamente l'autostima, specie se con connotazione negativa. Se state leggendo questo blog, abituatevi a leggere di disastri sociali, perchè la mia vita finora ne è stata costellata, per cui non sarà una sorpresa sapere che anche io, come molti di noi, facevo parte dell'ormai riconosciuto gruppo degli sfigati

Se i primi anni di elementari mi hanno vista protagonista di violente lotte per i diritti della donna - in particolare il diritto di giocare a calcetto con i maschi, diritto che per merito mio abbiamo ottenuto - il cambio scuola e la cosiddetta "graduation" mi hanno costretta a mettere da parte il mio caratterino in funzione della sopravvivenza scolastica. Già, perchè alle medie quello che conta di più è essere simile agli altri, e nessuno, almeno dalle mie parti, ha mai apprezzato la ragazza maschiaccia che vestiva in tuta e non portava nemmeno il reggiseno. E' una brutta, brutta età. Fatto sta che l'unico modo per esprimere te stessa è diventare in qualche modo fiera della tua diversità, e per farlo c'è un grosso sacrificio da compiere, ovvero la rinuncia agli alti status sociali.
Una volta accettata la propria partecipazione al gruppo degli sfigati, si cominciano ad individuare i vari ruoli nello stesso. Nel mio caso sono sempre stata la "leader", nonchè crocerossina e difensore degli indifesi, ma sono disponibili anche i ruoli di "timido incurabile", ovvero quel soggetto che non dice una sola parola in classe ed avrebbe bisogno di un terapeuta o una nuova famiglia, "entusiasta fallimentare", ovvero colui che pensa di essere ben accolto anche nei gruppi di ceto superiore e diventa il centro di diversi pettegolezzi maligni, il "secchione" - ok, sì, ero anche quello - , il "temporaneo", cioè quel traditore che, approfittando del suo aspetto meno raccapricciante degli altri, si aprirà al mondo in seconda o terza media e fuggirà a gambe levate dal gruppo, non appena ne avrà la possibilità. 

La partecipazione al gruppo degli sfigati è un must di gran parte delle persone problematiche attuali, e ne segna la crescita per sempre. Essere 'sfigati' non significa solo non essere particolarmente piacenti - cosa che, a quell'età, non è neppure strana - bensì non essere in grado di integrarsi con la massa. Da qui, qualunque possibile simpatia possano provare gli altri verso di te, non verrà mai manifestata: per quanto tu, sfigato, possa essere un ottimo partito come amicizia o relazione, non vali il sacrificio del proprio status sociale, motivo per cui sei destinato ad accoppiarti e convivere solo con quelli della tua "specie".





Questa, sottolineerei, è tutta gente che al liceo proverà ribrezzo per "gli uguali" e sarà fiera di essere l'"alternativa". Lì alcune cose cambieranno, i gruppi saranno meno limitanti e dell'autostima bassa resteranno solo le ombre. Ciò nonostante, qualunque nuovo contesto lavorativo o gruppale, riproporrà dalle medie in poi la solita situazione per cui ci si sente a proprio agio solo con persone più alla mano, avvertendo una certa incapacità di interagire con chi riteniamo sia superiore a noi in bellezza e capacità. I belli e gli uguali saranno per lungo tempo inarrivabili. I fortunati e i simpaticissimi altrettanto. E tutto questo non perchè vi sia un effettiva distanza tra voi, ma perchè questa distanza l'abbiamo disegnata in anni ed anni di calci in culo. Anni ed anni di invisibilità, in cui il nostro piccolo dio dodicenne non si è mai nemmeno degnato di guardarti al planetario o anche solo di prendere in considerazione la tua esistenza. 

La distanza non è mai esistita. Non è nella nostra natura. E' un concetto che hanno creato per noi e ci hanno indotto a credere che ci appartenesse, convincendoci di essere dei perdenti. 
Ma siamo davvero perdenti? Forse per una volta prima di scommettere di sì, vale la pena di entrare in gara.



Aggiungo solo una cosa.
Questo blog nasce da un'importante presa di consapevolezza in merito al discorso in questione. Non ho più paura di mostrare che anche io sono in grado di scrivere qualcosa che valga la pena di essere letto da un pubblico di sconosciuti. 
Insomma, meno cagotto:   volere è poter tentare




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